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Robert Hawthorn Kitson RBA (UK 1873- Italia 1947).

Francesco Spadaro
Figlio di famosi industriali britannici, fu educato nelle migliori scuole inglesi. Produrre locomotive, progettare linee ferroviarie, dirigere l’industria di famiglia non era però l’ideale del giovane Robert che, dopo la laurea in scienze della terra a Cambridge, iniziò un percorso artistico che lo mise in relazione con i maggiori artisti inglesi, esperienza fondamentale per le scelte di vita future.
Ex libris RH Kitson
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Fu proprio a Leeds che ancora giovane conobbe Frank Brangwyn, disegnatore, architetto, decoratore, uno dei più grandi artisti inglesi del secolo scorso, allievo di William Morris, l’inventore dell’Arts and Crafts Movements.

La notorietà della famiglia Kitson, la responsabilità di un’azienda tanto importante e la grande passione per l’arte furono elementi di pregiudizio per il giovane Robert che ai ferrosi locomotori della sua famiglia preferiva pennelli e terre colorate.

Nel 1898 si trasferì definitivamente a Taormina continuando però a frequentare le maggiori società artistiche dell’epoca e divenendo membro della Royal Society of British Artists. Acquarellista ma anche ritrattista, ha dipinto moltissimo, la sua Taormina prima fra tutte, ma anche Venezia, Roma, Madrid, Barcellona, Casablanca, Tunisi, Il Cairo e tante altre.


Robert H. Kitson ritratto in uno dei suoi viaggi
Robert H. Kitson ritratto in uno dei suoi viaggi

Spesso in viaggio era accompagnato da altri pittori famosi; a Roma, Venezia, Barcellona, Montreuil, Avignon, Mentone e Napoli da Sir Frank Brangwyn, accademico reale e presidente della Royal Society of British Artists, in Sicilia e a Istambul da Cecil A. Hunt, vice presidente della Royal Society of Painters in Water-Colours e da Sir Alfred E. East, accademico reale e presidente della Royal Society of British Artists, un raffinato vedutista che trattava il paesaggio con squisita poesia, ed ancora Venezia, le White Cliffs di Dover, e il nord della Francia con i pittori del New English Art Club, l’accademico reale Sir George Clausen e Philip Wilson Steer, solo per ricordarne alcuni.

Nella realizzazione dei suoi acquarelli cercava sempre un elemento verticale intorno al quale fare ruotare la composizione, una colonna, un arco, un ponte, un minareto o una montagna e poi, partendo da questo punto focale, dipingeva velocemente le forme orizzontali e i dettagli, preferendo sempre le narrazioni minime come i monelli che giocano in strada, gli attori a teatro, i passanti sulla strada principale, le nuvole tranquille, i pupi siciliani nel momento del riposo, i venditori ambulanti di Casablanca.

Solo eccezionalmente raccontava i fatti nel momento in cui accadevano ma, quando succedeva, usava il pennello con compostezza.

La presa di Trieste vissuta dai taorminesi, il terremoto di Messina, il bombardamento del S. Domenico, sono dipinti quando i fatti sono già avvenuti, non nel momento dell’azione. Kitson decide di fare riposare gli eventi, perché vede o – vuole vedere – la vita dal suo imperturbabile punto di vista.

Di lui, gli storici dell’arte scrissero: “Ogni giorno dipingeva, inumidendo la carta con una leggero tocco di spugna, poi, con mano educata, velocemente, stendeva i colori, prima il bianco, per inondare la carta di luce, poi i colori chiari e alla fine quelli più scuri: Terre, ocre, cobalti, cadmi e oltremare. Si sa, ogni colore nell’acquarello è inesorabile, non può essere cancellato, neppure coperto, nessuna inesattezza è permessa, perché una cancellatura distrugge per sempre la composizione.

Robert H. Kitson era veloce, intuiva la grazia dell’inquadratura e la trasferiva sul foglio, già preparato; uno scorcio, uno sguardo, un momento, una scena, diventava storia, poesia. Sulla carta si intravedono le tracce delle matite di piombo o di carbone, poi, in sequenza, acqua, bianco e colore, e più intensa è la luce più il foglio diventa bianco…”, accecante, come la sua Etna quando è ricolma di neve.

Da Casa Cuseni, la sua residenza siciliana, così chiamata dal quartiere di Taormina dove fu edificata, guardava il panorama, spesso sino a tardi, un paesaggio sempre mutevole, sempre cangiante; ne fissava le tonalità e poi, stendeva con rapidità i colori sul cartoncino, scrivendo la poesia di un luogo e consegnandolo alla storia.


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